Ordinanza n. 258/2000

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 258

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Francesco GUIZZI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 68, secondo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni), promosso con ordinanza emessa l’8 giugno 1999 dal Tribunale di Verona nel procedimento di esecuzione proposto da Passante Spaccapietra Ernesto contro Barbieri Anna Maria ed altra, iscritta al n. 566 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 maggio 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto che nel corso di un procedimento di espropriazione presso terzi il Tribunale di Verona, in qualità di giudice dell'esecuzione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 68, secondo comma, della legge (recte: d.P.R.) 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni), in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui introduce, per i dipendenti pubblici, un trattamento sfavorevole, e comunque differente rispetto all'omologo settore privato, in tema di coesistenza tra pignoramento e cessione volontaria della retribuzione;

che la disposizione censurata prevederebbe che, qualora all'eseguito pignoramento preesista una cessione del credito, si possa pignorare la differenza tra la metà dello stipendio e la quota ceduta, mentre ciò non accadrebbe per i dipendenti privati, per i quali si applica l’art. 545, quarto comma, cod. proc. civ. che limita al quinto dello stipendio la percentuale massima che può essere esecutata;

che, mentre per i lavoratori privati non sarebbe specificatamente disciplinata la coesistenza tra cessione dello stipendio e attribuzione di parte del medesimo al creditore in executivis, per il settore pubblico, invece, sono previsti particolari effetti di tale coesistenza, con palese violazione dell'art. 3 della Costituzione, non essendo fondata tale disparità di trattamento su di un criterio di ragionevolezza;

che il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della disposizione censurata, in riferimento al medesimo parametro costituzionale, soprattutto per il deteriore trattamento del dipendente pubblico per il quale la pignorabilità si estenderebbe fino al limite massimo corrispondente alla metà dello stipendio, non riscontrabile nel settore privato;

che nel presente giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza;

che, ad avviso della difesa erariale, questa Corte, con sentenza n. 220 del 1991, ha affermato che la disposizione censurata regola l'ipotesi del pignoramento che segua ad una precedente cessione, consentendolo solo nei limiti della differenza tra la metà dello stipendio e la quota ceduta, e consistente in un limite aggiuntivo a quello generale. Infatti il creditore procedente nei confronti dell'ente datore di lavoro deve anzitutto rispettare i limiti ex art. 2 del d.P.R. n. 180 del 1950 (un quinto, un terzo o la metà secondo la natura del credito) ed inoltre non può, in presenza di una precedente cessione, pignorare più della differenza tra metà dello stipendio e la quota ceduta, sicché la disposizione denunciata opera come ulteriore norma di sbarramento, a vantaggio e non a danno dei pubblici dipendenti.

Considerato che il rimettente ripropone la questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, secondo comma, del d.P.R. n. 180 del 1950, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, analoga a quella risolta da questa Corte con la sentenza n. 220 del 1991;

che il presupposto interpretativo da cui muove il giudice a quo è erroneo, atteso che, come chiarito nella sentenza citata, la “norma (denunciata) – la quale persegue la finalità di evitare che, per il concorso di pignoramenti (nonché sequestri) e cessioni, il pubblico dipendente risulti privo di un minimo di mezzi di sussistenza – regola al primo comma l’ipotesi in cui la cessione segua al pignoramento (o sequestro) e al secondo comma l’ipotesi inversa, in cui il pignoramento (o sequestro) segua alla cessione. In entrambi i casi la preesistenza del vincolo del pignoramento o della cessione può incidere rispettivamente sulla cedibilità o pignorabilità della residua quota dello stipendio”;

che – secondo interpretazione data dalla predetta sentenza – nella ipotesi prevista dal secondo comma dell’art. 68, “il legislatore ha operato prevedendo un limite ulteriore a quello già contemplato dall’art. 2. Il pignoramento dello stipendio – se segue alla cessione di quota dello stesso – è possibile limitatamente alla differenza tra la metà dello stipendio (sempre al netto delle ritenute) e la quota ceduta. Questo limite (particolare) si aggiunge a quello (generale) previsto dall’art. 2, come reso evidente dalla lettera della norma nell’inciso “fermi restando i limiti di cui all’art. 2”, che è parallelo all’analogo inciso del primo comma, in cui si fa salvo il limite di cui all’art. 5, primo comma. Detto riferimento testuale e il parallelismo con il primo comma della medesima norma fanno escludere che il secondo comma dell’art. 68 modifichi (e non integri) i limiti dell’art. 2, alterando la base di computo della quota pignorabile;

che il secondo comma dell’art. 68 cit., così interpretato, si pone come norma differenziata per il pubblico dipendente rispetto al dipendente privato soltanto in quanto appresta al primo la ulteriore garanzia dello sbarramento della somma massima pignorabile; ma per il resto la disciplina corrisponde sostanzialmente a quella relativa ai dipendenti privati, per la quale trovano applicazione sia il disposto (processuale) dell’art. 547, secondo comma, cod. proc. civ. (in base al quale il terzo che rende la dichiarazione deve specificare le cessioni che gli siano state notificate o che abbia accettato), sia quello (sostanziale) dell’art. 2914, numero 2), cod. civ.;

che, essendo la norma denunziata suscettibile di ricevere una interpretazione che la sottrae ai denunziati profili di incostituzionalità, la questione, pertanto, va dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, secondo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni) sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione dal Tribunale di Verona con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2000.

Francesco GUIZZI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 6 luglio 2000.